
Benché gli uomini abbiano occhi, pochi sperimentano con gli occhi: è dunque difficile affrontare i problemi della luce. I tecnici si fidano più delle loro misurazioni che degli occhi e credono che i livelli di luminosità che riescono a calcolare siano valori assoluti. Ma per l’occhio, dunque per l’impressione sull’occhio, la sola cosa che conta è l’effetto, la parola relativa. Bisogna imparare a vederla.
L’illuminazione, a teatro, ricorda una cella buia. Attraverso il contrasto tra l’oscurità in cui giace il pubblico e la luce sul palco, crediamo di imitare il sole. Ma per favorire questa illusione, sacrifichiamo tutte le sfumature del colore; il contrasto estremo distrugge i dettagli della forma e del colore.
La luce deve essere uno strumento orchestrale, i cui crescendo e diminuendo si conformano all’intera partitura teatrale. Si può pensare alla luce come una scala musicale, le cui note acute segnalano una successione crescente di luminosità. L’assenza di luce corrisponde al silenzio. Se si vogliono sviluppare le qualità tonali della luce, la fonte deve essere invisibile. La luce si mostrerà mobile, fluttuante, come una musica.
Meglio poca espressione: il troppo è un pericolo. La luce si adegua alla musica. La musica anima il movimento. La luce chiarisce il movimento. Solo attraverso la luce il movimento si svela, assume forma ed espressioe. La luce è per il movimento ciò che la cassa di risonanza è per la musica. Deve influenzare i movimenti in modo che costituiscano una sola forza psichica.
Per noi, dunque, la luce fa qualcosa di più che imitare il sole, la luna, le stelle. Non deve produrre effetti. Non deve rendere le cose belle né evocare stati d’animo. Deve dare ai colori, alle superfici, alle linee e ai corpi la possibilità di dispiegarsi. Nessun elemento agisce a spese dell’altro, tanto meno l’illuminazione, che vincola ogni gesto al patto. Una “luce che riverbera” cerchiamo. Inutile dire che tale luce deve riempire ogni spazio possibile, il pubblico come gli artisti.
Alexandre de Salzmann
[Pubblicato in origine sulla rivista tedesca “Der Rhythmus”, 1912]
suggerimento di lettura

Per approfondire il pensiero di Salzmann: Alexandre Salzmann e la scena del XX secolo,
scritto da Carla Di Donato (Carrocci Editore, 2015)
Alexandre Salzmann è un pioniere della Luce come soglia dell’invisibile e via d’accesso all’Essere. Motore segreto di avvenimenti di primo piano e collaboratore di protagonisti della scena del XX secolo, Salzmann non sceglie mai la ribalta, rimanendo sempre ai margini. Ammirato da Artaud, Bernard Shaw, Gordon Craig, Rilke, Kandinskij, Buber, Nijinskij, Stanislavskij, Claudel, Pitoeff, Jouvet e molti altri, è un protagonista dell’ombra nel sessantennio tra fine Ottocento e primi trent’anni del Novecento, dalla Georgia alla Russia, dall’Asia Centrale al Nord Europa. Convinto che occorra ‘saper vedere’, crede in una Luce regolata unicamente dalla Musica e realizza un sistema di illuminazione concepito come un pentagramma luminoso. La scienza della Luce di Salzmann, confluisce nella Scienza del Movimento di Gurdjieff in quanto “luce come veicolo”. Peter Brook, qui testimone d’eccezione, ci racconta il perché.